“Un linguaggio diverso è una diversa visione della vita.” – F. Fellini
“Decidetevi a non servire più, ed eccovi liberi.” – E. de la Boétie
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Lo chiedo a te, Luna. Chiedo a te di rischiarare i miei prossimi passi. Come nel bosco. Di notte. Come quando giochi a nascondino tra le ragnatele di rami. Come quando, al cospetto dell’ignoto, coccoli le nostre emozioni.
La paura è sistemica. Qualcuno è in grado di captarlo. L’ago della bussola ha smesso da tempo di segnare il Nord. Come se non lo sapessi. Mi vengono in mente le parole di Nietzsche: in molte contrade dello spirito noi siamo stati di casa, o per lo meno degli ospiti. Una società narcotizzata dall’alchimia delle distrazioni e nevrotizzata dalla cronicizzazione della menzogna. Non è il crollo del sistema finanziario. Non è una sequenza avversa di proteine. Non è nemmeno “quel” pulsante rosso, che l’ultimo e più credibile dei Joker sta minacciando di premere. No. E’ qualcosa di molto più capillare. E carsico. E’ la perdita di Senso. Perché siamo qui? Perché ora?
Se due milioni di giovani fuggono dall’Italia, se oltre il 10% dei lavoratori è sotto la soglia di povertà, se quasi un italiano su due diserta le urne… possiamo anestetizzarci con tutti gli Enrichi Mentana, le Giorge Meloni o i “red-pill” influencer del caso, ma ad essere vaporizzata è stata la flebile fiducia nella brodaglia primordiale che ci ha sempre nutrito. Il totalitarismo delle consuetudini. Consuetudini educative: tutti a scandalizzarsi per la parolina “merito”, quando la vera rivoluzione sarebbe stata chiamarlo “Ministero dell’apprendimento” (che è ciò che ci qualifica come esseri umani). Consuetudini professionali… e giù di talk-show a dissimulare stupore per il fenomeno delle Grandi Dimissioni. Consuetudini affettivo-relazionali: per quanti minuti siamo in grado di restare in silenzio con la persona che amiamo (e goderne)? Consuetudini politiche: elettori ed eletti ormai incapaci di proporre un qualsiasi ragionamento avulso dal proprio tornaconto personale. Consuetudini psicologiche: come lo gestiamo, nel nostro profondo, questo tsunami di dissonanze cognitive, eh?
Qualcuno chiama. E sollecita. Ricomincia a scrivere, dai. Abbiamo bisogno di te. Ricomincia a scrivere sul tuo vecchio blog. Scrivi un terzo libro. Registra un podcast. Fatti vedere. A pochissimi di loro rispondo: “Tu non hai bisogno di me. Tu hai bisogno di… te: cercati”.
La più alta e nobile forma di protesta, per Ivan Illich, era il silenzio. Jean Giono predicava il ritorno alla terra, identificando nei contadini gli unici ambasciatori di Pace (cito a memoria: quando il contadino comincia a produrre più di quel che occorra a sé e alla propria famiglia, diventa imprenditore, quindi apostolo del profitto, quindi predisposto alla guerra pur di massimizzarlo…).
Una manciata d’anni fa, in una piccola riunione dentro al Palazzo dei Gruppi di Montecitorio, mi sentii pronunciare queste parole: “Questa politica ha bisogno di un nuovo linguaggio: un linguaggio che sappia parlare alla nostra dimensione spirituale.” Qualcuno rise. Qualcuno abbassò il capo, pensieroso.
Il bravo corsista di un mio vecchio Ufficio di Scollocamento mi sta cercando da giorni: “Posso venire da te, sabato?” No, mi spiace: sabato sono tutto il giorno con mia figlia. Se a quasi cinquant’anni ho raggiunto quello che ho raggiunto, pur con tutte le mie cicatrici, è anche perché ho imparato ad osservare – soprattutto con me stesso – una disciplina interiore intransigente. Se serve, persino spietata. Anche a costo di apparire antipatico. Le quattro “regolette” sono sempre quelle, ormai le conosci: sogna, pianifica, agisci, celebra. Allenta la presa su una soltanto delle quattro, e il disegno svanisce. Non è più una questione di Consapevolezza (i libri sono sugli scaffali e le cartine geografiche sono sul tavolo). E’ una questione di Volontà*.
Occorre inaugurare nuovi linguaggi.
Ma non ho più tempo.
Luna, pensaci tu.
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(*) RICERCATI – occorre ribadirlo – è concepito di fatto per questo. Il suo unico star-gate è questo.
Come sempre hai scritto belle cose, concordo sulla parola disciplina, parola in disuso soprattutto quando si tratta di applicarla a noi stessi.
Grazie Mariarosaria. Verissimo quanto dici: il segreto sta tutto in quella parolina…